L'intervista alla sorella di Norma scampata alle persecuzioni dei partigiani

Così Licia Cossetto raccontò a Barbara Mapelli la persecuzione etica subita dalla sua famiglia dai partigiani comunisti slavi: “Noi abitavamo a Santa Domenica di Visinada, un piccolo paesino dell’Istria. Mio padre, Giuseppe Cossetto, era stato commissario governativo delle casse rurali per la Provincia, ufficiale della Milizia e podestà per molti anni. Fino all’8 settembre del 1943 non avevamo mai avuto problemi, tutti ci volevano bene. Dopo l’8 settembre, i comunisti del paese cominciarono a ribellarsi, a spaccare e a rubare ogni cosa. Armi in pugno, entrarono in casa nostra e ci portarono via tutto, tra insulti e minacce. Eravamo terrorizzate. Mio padre non c’era perché era stato richiamato a Trieste, quindi ero rimasta sola con mia madre e mia sorella Norma. E proprio sua sorella divenne preda dei banditi… Sì, nei giorni successivi cominciarono a tormentarla. Avevano messo gli occhi su di lei, anche perché era una bella ragazza. Vennero a prenderla due o tre volte, per poi rilasciarla e rimandarla a casa. Le prime volte no; cercarono di lusingarla in modo subdolo. Le promisero libertà e mansioni direttive se avesse accettato di aggregarsi a loro, ma Norma ha sempre risposto che era italiana e voleva rimanere tale. Vennero a prenderla per l’ultima volta il 26 settembre del 1943. L’arrestarono e la portarono nella ex caserma dei carabinieri, successivamente la trasferirono a Parenzo, nella ex caserma della Guardia di Finanza. Assieme a Norma, catturarono anche altri miei parenti, conoscenti e amici. Incarcerarono anche me, ma grazie ad un mio compagno di scuola riuscii ad uscire. Con mio cugino, Pino Cossetto, andai a Parenzo dov’era incarcerata Norma. La trovai molto provata, in lacrime. Parlai con uno dei carcerieri dicendogli che mia mamma era disposta a pagare purché lasciassero libera mia sorella. Lui mi rispose: “Non si preoccupi, questa sera li liberiamo tutti”. Invece? Era una bugia. Quella stessa sera portarono i prigionieri ad Antignana, all’interno di una scuola e fecero fare quella orrenda fine a mia sorella. Dapprima, la rinchiusero in una stanza da sola, la legarono ad un tavolo con delle corde o del filo di ferro e la violentarono. Pensate, abusarono di lei 17 persone! A “divertimento” finito, la gettarono nella foiba di Villa Surani. Quando recuperarono il corpo martoriato di Norma, una signora si avvicinò a me e mi disse che aveva visto ogni cosa dagli spioncini delle finestre. L’aveva sentita piangere, chiedere dell’acqua e chiamare la mamma”.

Estratto da www.noitoscani.it/post.asp?id=54286
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