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domenica 19 maggio 2024  
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LA DITTATURA DELLA DEMOCRAZIA

LA DITTATURA DELLA DEMOCRAZIA



Che cos'è la democrazia? E' il governo dei rappresentanti del popolo, eletti periodicamente. Non è il governo 'del' popolo ma 'per' il popolo, in cui il popolo è attivo solo nel momento in cui va a votare: cosa che avviene nel corso delle elezioni amministrative o politiche. Un altro momento in cui il popolo si esprime direttamente col voto è quello del referendum abrogativo di leggi o, più spesso, di articoli di leggi già in vigore.

In genere nei paesi cosiddetti 'democratici' la democrazia non è che la possibilità di votare chi di fatto governerà per conto proprio, anche se di diritto o formalmente egli governerà per conto del popolo, o se si vuole per conto dei cittadini aventi diritto di voto e che hanno esercitato effettivamente questo diritto (negli Usa p.es. solo la metà degli elettori partecipa alle elezioni dei candidati alla presidenza, sicché chi viene eletto si trova ad avere un consenso esplicito solo da parte di un quarto della nazione).

Un parlamentare dovrebbe sentirsi in dovere di render conto del proprio mandato agli elettori che l'hanno votato. Ma, a parte il fatto che la legge stessa gli garantisce ampie immunità e privilegi, questo è vero solo teoricamente, in quanto di fatto il parlamentare agisce in piena autonomia, pur sapendo di rischiare di non essere rieletto se non soddisfa determinate richieste del proprio elettorato.

Non a caso il parlamentare non può essere chiamato a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle sue funzioni; egli non ha nessuna responsabilità penale, civile, amministrativa o patrimoniale per tali attività. Nessun parlamentare può essere perquisito, arrestato, processato senza l'autorizzazione (che, dopo la riforma costituzionale dell'ottobre 1993, non è invece richiesta per condurre un'indagine nei suoi confronti) della Camera cui appartiene, a meno che non si sia in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna o della flagranza del reato. Solo allo scadere del mandato parlamentare, il deputato o il senatore perdono il diritto all'immunità e tornano a essere come tutti gli altri cittadini, quindi perseguibili per i reati eventualmente commessi.

Questa regola, che oggi appare come una sorta di 'impunità parlamentare', fu particolarmente rigida nella Costituzione italiana del 1948 per reazione ai soprusi commessi dal fascismo contro i deputati d'opposizione. Una regola giusta in un regime autoritario s'è trasformata in una regola ingiusta in un sistema democratico.

In questa maniera infatti, l'accesso al parlamento è diventato un'àncora di salvezza per i trasgressori della legge, una sorta di via di fuga per coloro che intendono sottrarsi ad un giusto processo. Finché resta in carica il parlamentare ha tutti gli strumenti per gestire al meglio la propria situazione a delinquere: un supporto economico considerevole, la possibilità di una sua rielezione e, soprattutto, la possibilità di incidere con una legge ad personam sulla propria posizione nei confronti della giustizia. Di qui l'accusa rivolta ai parlamentari di essere una 'casta di intoccabili'.

Che cos'è il voto? Il voto, specie quello di preferenza per uno specifico candidato, dovrebbe essere una sorta di 'patto' tra un elemento forte: il popolo, e un elemento provvisorio: il parlamentare, il cui mandato può essere confermato o revocato.

Nella pratica il voto è soltanto un rituale formale, che serve a confermare un potere politico-parlamentare che agisce separatamente dalla società che dovrebbe rappresentare. Sotto questo aspetto votare un partito o un altro, una coalizione di partiti o un'altra non fa molta differenza. Il voto serve soltanto per ribadire una stretta dipendenza della società nei confronti dello Stato. La dipendenza è spesso rafforzata dal fatto che al momento del voto gli elettori sono costretti a scegliere tra candidati preventivamente decisi dai partiti, quando addirittura non possono neppure scegliere i candidati ma soltanto le coalizioni di appartenenza.

Per la politica dei parlamentari il popolo non è sovrano ma 'bue', e i politici altro non sono che sirene ammaliatrici, che inducono il bue ad accettare i sacrifici più gravosi.

Qual è in genere la giustificazione che i politici danno al fatto che la democrazia può essere solo 'delegata'? Il motivo sta nel numero dei componenti di una popolazione, che negli Stati nazionali è ovviamente molto alto. La democrazia infatti è la tipica forma di governo degli Stati nazionali.

Che questi Stati siano centralisti o federalisti, sotto questo aspetto, non fa molta differenza, poiché in nessun caso viene mai messo in discussione il principio della delega. La democrazia ha la scopo di far governare i pochi sui molti. E' in tal senso una forma di oligarchia, ma con la differenza che al momento del voto non si fanno più differenze di censo, di sesso o altro.

Uno dei principali compiti della propaganda dei media occidentali è proprio quello di far credere che nei propri Stati nazionali la democrazia è un tipo di governo voluto espressamente dalla stragrande maggioranza dei cittadini. Una volontà che si manifesta appunto nel fatto che il popolo va a votare in tutti gli organi dello Stato, da quelli centrali a quelli periferici (da quest'ultimi vanno però escluse le prefetture, le questure, le preture ecc., che sono dirette emanazioni dello Stato).

Dunque che il governo dei pochi eletti sui molti elettori avvenga in una porzione di territorio grande o piccola, locale o nazionale, federata o centralista, significa in sostanza la stessa cosa. In tutte le civiltà antagoniste, basate sullo scontro delle classi sociali, le più importanti delle quali sono gli imprenditori di beni mobili e immobili e i dipendenti salariati e stipendiati, la democrazia parlamentare, delegata o indiretta, è la forma più mistificata della dittatura dei poteri forti.

Generalmente quando in uno Stato centralista si parla di federalismo è perché in periferia i poteri forti dell'economia vogliono rivendicare un maggiore protagonismo politico. E' una richiesta di maggiore democrazia nei confronti dello Stato centralista, ma nel territorio locale questa esigenza spesso si traduce nell'affermazione di una maggiore libertà di manovra da parte dei padroni dell'economia e della finanza. Il federalismo infatti non mette mai in discussione il sistema capitalistico: 'capitalismo' ormai è diventata per tutti una parola tabù.

Che cosa significa 'governo del popolo'? Significa il contrario della democrazia parlamentare, e cioè che il popolo, là dove vive, decide la soluzione dei problemi che incontra. La decide per conto proprio, senza delegare nessuno; oppure, in caso di delega, questa è sempre a termine, per un mandato specifico: oltre una certa scadenza, oppure una volta esaurito il compito, il delegato decade dalla propria nomina o elezione.

Durante il proprio mandato il delegato deve periodicamente rendere conto agli eletti del proprio operato. Il mandato non può essere troppo lungo, altrimenti il popolo si disabitua a governare se stesso. Generalmente si sceglie la soluzione del mandato solo in casi molto particolari, quando non si può fare diversamente, quando è più semplice o più conveniente fare così, senza che con questo si voglia stabilire alcuna regola di carattere generale.

Il principio della democrazia del popolo è infatti molto chiaro: o la democrazia è diretta o non è. Le eccezioni possono essere tollerate solo a condizione che restino tali.

Stando le cose in questi termini è evidente che la democrazia diretta può essere esercitata solo in porzioni di territorio molto ristrette. Anzi, quanto più il territorio s'allarga tanto meno la democrazia può essere diretta. Se noi diciamo che l'unico potere forte dev'essere il popolo che decide la soluzione dei propri problemi, è evidente che i poteri particolari di determinati gruppi o ceti o classi sociali, devono essere tenuti sotto stretto controllo. Certo, non si può impedire a qualcuno di prevaricare; occorre però assicurare al popolo gli strumenti per potersi difendere.

Il massimo della democrazia e dei suoi poteri decisionali va garantito a livello locale, cioè comunale, ivi incluse le realtà dei quartieri: le circoscrizioni in cui ogni Comune è suddiviso. Il quartiere è, se vogliamo, l'istanza principale della democrazia diretta. Quanta meno democrazia c'è a livello locale tanta più dittatura s'impone a livello nazionale.

Con questo non si vuol sostenere che la democrazia diretta è di per sé migliore di quella delegata. Infatti non bisogna mai dimenticare che parallelamente al concetto di democrazia politica va affermato anche quello di democrazia economica. Senza uguaglianza sociale, anche la democrazia diretta diventa un'espressione vuota di contenuto.

Democrazia popolare significa che è il popolo a decidere le sorti della propria vita, fin nei minimi particolari. Solo così è possibile rendersi conto che una propria azione sbagliata può avere ripercussioni negative sull'intero collettivo e che l'azione giusta di un collettivo può avere ripercussioni positive anche su chi individualmente non l'ha condivisa.

LA RAPPRESENTAZIONE DEL NEMICO

Per giustificare l'uso di metodi autoritari è necessario dare del nemico una rappresentazione quanto mai truce. L'ha fatto l'impero romano nei confronti del cristianesimo, ma anche la Spagna nei confronti delle popolazioni mesoamericane. In fondo tutta la mitologia greco-romana si basa su una descrizione caricaturale del nemico.

Nel mondo romano il passaggio dalla repubblica all'impero non poteva realizzarsi senza l'uso di metodi autoritari e soprattutto senza l'uso propagandistico dei vantaggi che alla popolazione potevano dare questi metodi. Ottaviano appariva come un principe assolutamente illuminato, di larghe vedute, magnanimo ecc. Eppure con lui iniziò una delle peggiori dittature della storia, che durò oltre quattro secoli.

Prima l'ebraismo, poi il cristianesimo e altre sètte pagane non autorizzate venivano a costituire l'occasione propizia da utilizzare come pretesto per legittimare quella transizione dalla dittatura del senato alla dittatura del principe.

Purtroppo il mondo ebraico-cristiano fallì il proprio tentativo rivoluzionario quando la transizione all'imperialismo politico-militare era appena agli inizi, e sino alla svolta costantiniana non poté fare più nulla.

Ad un certo punto anzi fu lo Stato romano ad accorgersi che con le persecuzioni stava facendo passare il cristianesimo come molto più pericoloso di quello che effettivamente era: Teodosio arrivò persino a cristianizzare tutte le istituzioni, mettendo il paganesimo fuori legge, e la dirigenza cristiana, convinta che questo fosse un favore insperato che le si concedeva, lo accettò senza riserve, trovandosi improvvisamente ad usare gli stessi metodi dittatoriali contro cui aveva fino a quel momento combattuto (seppur nei limiti della religione).

Lo Stato romano aveva capito, dopo tre secoli di inutili persecuzioni, che una diversità ideologica e culturale non necessariamente comportava un'alternativa politica al sistema. Anzi, proprio il cristianesimo poteva essere utilizzato per ribadire i principi classisti e autoritari del medesimo Stato, dando ad essi, questa volta, una patina di 'umanità'.

GLI IDEALI DEL SOCIALISMO

E' curioso vedere come i dittatori, dopo il loro fallimento politico, cerchino sempre di 'rifarsi una verginità', semplicemente riproponendo alla collettività i loro ideali giovanili, cui avevano dovuto rinunciare per poter appunto realizzare la loro dittatura, considerata come mezzo estremo per risolvere i problemi della nazione. La parabola politica di Mussolini può essere letta in questa maniera.

Quanto in questo atteggiamento di sopravvivenza sia presente il cinismo o un autentico scrupolo di coscienza, è cosa che non può certo interessare lo storico, che deve esaminare ben altri fatti.

Uno dei più significativi resta quello secondo cui le dittature, quando nascono, non vengono percepite negativamente dalle grandi masse. Poiché da millenni si è abituati a rapporti di tipo antagonistico, quando questi raggiungono livelli di assoluta insopportabilità, si tende a guardare con favore chi promette di risolvere i problemi usando metodi autoritari. Non ci si rende conto di stare per passare da una dittatura a un'altra, lasciando semplicemente che ai vertici del potere avvengano 'cambi di guardia' che alla resa dei conti saranno del tutto formali.

Le masse non sono inclini alla violenza, anche perché in genere la subiscono, però amano pensare che certe svolte politiche autoritarie possano costituire una valvola di sfogo alle loro frustrazioni.

Le masse di per sé non sono reazionarie (anche perché senza il loro consenso e il loro impegno nessuna dittatura può reggersi in piedi per molto tempo); esse semplicemente si lasciano trarre in inganno, non avendo gli strumenti idonei per autogestirsi, e sotto questo aspetto conta poco essere acculturati (come i tedeschi sotto il nazismo) o analfabeti (come i russi sotto lo stalinismo).

In particolare, da quando è nato il socialismo, spesso in Europa le dittature, nel mentre in cui cercano il consenso popolare, tendono a servirsi, in qualche maniera, degli stessi ideali del socialismo. Essi vengono utilizzati come specchietto per le allodole, a testimonianza che nessuna ideologia del mondo, da due secoli a questa parte, ha saputo formulare degli ideali politici e sociali così democratici come quelli del socialismo.

Oggi la democrazia borghese non ha bisogno di dimostrare d'essere migliore del socialismo, poiché quest'ultimo, all'inizio degli anni Novanta, è come imploso, cioè non ha bisogno di utilizzare in maniera demagogica un armamentario ideologico che non le appartiene, ma possiamo tranquillamente scommettere che tornerà a farlo il giorno in cui avrà di nuovo bisogno di dimostrare ch'essa è migliore di qualunque socialismo.

D'altra parte il capitalismo da un pezzo non ha più nulla da dire: nel dopoguerra lanciò l'idea keynesiana di Stato sociale cercando di sostituirsi al socialismo di Stato dei paesi est-europei. Oggi sta smantellando anche questa forma sociale di Stato proprio perché non ha più un'alternativa da combattere.

Lo stalinismo ha davvero fatto un grande favore al capitalismo. Ogniqualvolta il socialismo si presenta in maniera autoritaria, massimalistica, estremistica ecc., il capitalismo non fa che prolungare indisturbato la propria esistenza.

IDEALISMO ED ESTREMISMO

Quand'è che l'idealismo si trasforma in estremismo? Quando sul piano pratico non sa come realizzare i propri ideali. E' questo, in nuce, il passaggio da Croce a Gentile, ovvero dal liberalismo al fascismo.

L'idealista si trasforma in estremista perché crede che determinati compromessi siano vergognosi, siano un cedimento ai propri principi, ma siccome i metodi autoritari che usa non riescono a risolvere alla radice i problemi, è costretto o ad accentuare al parossismo il proprio autoritarismo, facendo o guerre contro un nemico esterno (nazismo) o guerre contro un nemico interno (stalinismo), e quindi mettendo a rischio la propria sopravvivenza, poiché le masse, se attraverso la guerra non ottengono una compensazione ai loro sacrifici, finiscono col ribellarsi ai governi in carica, oppure è costretto ad accettare compromessi ancora più vergognosi.

Quando l'idealista vuol conservare a tutti i costi una propria 'purezza ideologica', rifiutando ogni intesa con forze politiche giudicate false, finisce coll'assumere posizioni antitetiche ai suoi stessi principi, diventa estremista, finisce col perseguire obiettivi opposti a quelli prefissati e fa in sostanza il gioco degli avversari.

L'estremista è sostanzialmente un illuso, in quanto sopravvaluta le proprie forze e sottovaluta quelle degli avversari. Inoltre è totalmente incapace di distinguere le posizioni ideologiche da quelle politiche. Pretendendo sempre il massimo, l'estremista non riesce neppure a ottenere il minimo.

GLI IDEALI DELLE VITTIME

Come potranno mai i carnefici e i torturatori essere perdonati dalle loro vittime? Sarà sufficiente sapere ch'essi agivano perché costretti dalle circostanze, accecati dalle loro ideologie, condizionati da eventi che si sono rivelati negativi solo successivamente?

Cosa dovranno fare i carnefici per farsi perdonare? E' escluso infatti che debbano essere costretti a subire le medesime persecuzioni, altrimenti la democrazia non avrebbe alcun senso.

Probabilmente l'unico modo per poter perdonare è quello d'indurre i carnefici, con la ragione o con l'esempio, a credere nel valore degli ideali delle vittime. Una persona perseguitata, se è tollerante, dimentica abbastanza facilmente i torti subìti quando può in qualche modo dimostrare che le sue idee erano giuste. Però questa possibilità bisogna dargliela, altrimenti le ferite non si rimarginano. Ecco perché quando le dittature finiscono bisogna in qualche modo regolare i conti, democraticamente, cioè attraverso dibattiti, analisi storiche, gesti rituali di riappacificazione, ripresa delle attività di scambio culturale ed economico, ecc.

Quel che bisogna escludere è la vendetta, cioè la giustizia sommaria, ma anche il perdonismo fine a se stesso, che non chiarisce mai le ragioni di certi comportamenti. Gli stessi risultati giudiziari del processo di Norimberga lasciano a desiderare: non ha alcun senso impiccare gli sconfitti, giustiziare quelli che si sono arresi o quelli che sono stati catturati. Non è questo il modo migliore per rieducare le coscienze, per far capire gli errori compiuti.

Neppure il diritto è sufficiente, ci vuole la pedagogia. Non basta la legge, ci vuole il rapporto umano. Spesso il senso di umanità di un pentito è più grande di quello di un idealista, perché l'idealista, pur di restare coerente coi propri ideali, può arrivare a compiere cose di cui un giorno potrà anche pentirsi. Il pentito invece le ha già compiute e ne conosce già gli effetti.

Bisogna inoltre fare attenzione che la vittima, solo perché vittima, non è di per sé migliore del carnefice. Il martirio, di per sé, non offre una patente di verità per determinate idee. Molti martiri sono stati in realtà dei fanatici intolleranti, anche se non per questo, ovviamente, meritavano d'essere martirizzati.

La verità storica dei fatti non è mai così evidente da poter dire con sicurezza: 'Ecco è qui', escludendo categoricamente che sia anche 'là'. Spesso il fanatico va a cercare il martirio perché non riesce a dimostrare in altri modi la verità delle proprie idee, che, guarda caso, sono sempre estremistiche e intolleranti, quindi di difficile attuazione. Kierkegaard docet.

DEMOCRAZIA E DITTATURA

La peggiore dittatura della storia è stata quella romana, proprio perché il fatto che sin dagli inizi sia stata una dittatura che si è servita del diritto per mascherare l'uso della forza, le ha permesso di durare più a lungo di tutte le altre.

Vi è una linea di continuità tra l'impero romano e quello cristiano della chiesa feudale e tra questo e la nascita delle nazioni borghesi, che abbraccia un periodo di 2700 anni di storia.

Quanto più è aumentata l'ipocrisia tra la tutela giuridica della libertà personale e la pratica sociale dello sfruttamento del lavoro altrui, tanto più è aumentata l'esigenza di frapporre tra proprietario e lavoratore l'uso delle macchine.

Il vertice di questa oppressione sociale è stato ottenuto sotto lo stalinismo, in cui il ruolo dominante che mediava i rapporti tra potere e società era svolto dall'ideologia, considerata superiore al diritto. Anche per la chiesa romana l'ideologia (religiosa) era superiore al diritto (canonico), ma, tutelando essa l'esplicito servaggio e non la libertà personale, questa forma di ipocrisia era destinata ad essere superata.

Il mondo romano illudeva che l'acquisizione della cittadinanza rendesse liberi, uguali agli altri cittadini. La chiesa romana illudeva che l'obbedienza alle gerarchie ecclesiastiche rendesse sicuri. La classe borghese illude che il possesso di capitali renda potenti. Il socialismo di stato illudeva che la conformità all'ideologia dominante rendesse invincibili.

La cosa curiosa è che ogniqualvolta un impero pretende d'essere l'erede del precedente, lo dice come se quest'ultimo avesse contraddizioni assolutamente irrisolvibili e fosse quindi destinato al crollo; sicché, in questa forma di continuità, si vuol far credere in realtà che esista una vera e propria discontinuità, ovvero che il futuro sarà sicuramente migliore del passato: cosa che invece viene immancabilmente smentita.

Altro non sembra la storia che un continuo tentativo, in varie forme e modi, di far valere il principio dell'antagonismo sociale, affinché si possa arrivare un giorno a capire che nessuna forma di antagonismo è destinata a durare nel tempo.

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Anonimo - inviato in data 31/10/2016 alle ore 22.42.16 -

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